Alpinismo: strada tortuosa ed unica alla ricerca di sè

Di ALBERTO ,

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E’ del 23 maggio scorso la notizia che Lori Schneider, americana, insegnante in pensione, ha concluso il Seven Summit, la scalata alle 7 cime più alte di ogni continente, un must per il mondo anglosassone dell'alpinismo. 

La statunitense è riuscita nonostante nel 1999 le sia stata diagnosticata la sclerosi multipla ed ha cominciato quest’impresa proprio dopo aver “scoperto” la malattia. Ma quali possono essere stati i meccanismi psicologici legati a questa straordinaria esperienza di vita? Quando ci si dispone a viaggiare si è mossi soprattutto dal bisogno di ritrovarsi, riconoscersi nella propria unicità assoluta e mettere insieme i pezzi di sé. Certamente, sapere di essere affetti da una terribile malattia genera nell’individuo sentimenti ed emozioni forti. Dopo l’impatto col sentimento di incredulità, il pericolo immediato è la frammentazione del sé che desidera magicamente eliminare questa sua parte malata. Successivamente può subentrare la rassegnazione alla realtà con la conseguente demoralizzazione. Qualsiasi sia stata l’esatta dinamica psicologica nella vita di Lori Schneider, una cosa è certa. L’insegnate del Wisconsin, ad un certo punto, deve essersi detta: “da oggi in poi, la mia vita non sarà più la stessa”. Una notizia del genere ti cambia profondamente; col passare dei giorni ti rendi conto che non sei più la persona di prima. “Qualcosa di importante è cambiato”. Talvolta il cambiamento è così violento che non ci si riconosce più. C’è il rischio di “perdersi”. Da allora, era il 1999, per Lori è cominciato “un viaggio”: il viaggio alla ricerca della “nuova “Lori, alla ricerca di sé. Per cercarsi è necessario muoversi, intraprendere un viaggio di esplorazione e di scoperta dello spazio incognito esterno ed interno. Muoversi (esplorare) nello spazio incognito (labirinto) favorisce un’unità di corpo e di spirito, confermandoli nell’atto che si sta per compiere: non c’è spazio per altri pensieri, si deve inevitabilmente essere in quel luogo e non altrove (Cattich, Saglio in “Inconscio” ed “incognito”: i luoghi della mente. Rivista di Psicologia Individuale, 2004). Perdersi nel labirinto comporta ritrovare sé. Attraverso l’esplorazione della dimensione incognita, svolta nel mondo esterno, si acquisisce un maggior senso di sé tale da creare i presupposti per un avvicinamento al proprio mondo interno. Il viaggio diventa, prima un’esperienza introspettiva, poi un’esperienza conoscitiva ed infine un’esperienza trasformativa della mente (da “In Su ed in Sé, Alpinismo e Psicologia” di Saglio e Zola, Priuli & Verlucca, 2008). Alla fine del viaggio non si è più come prima. E questo forte senso di positiva trasformazione deve essere stato evidente in Lori al momento della conquista del Seven Summit, il 23 maggio scorso. E’ dovuta passare dalle 7 cime più alte di ogni continente, ma alla fine ha ritrovato sé stessa, rendendo straordinaria l’esperienza di vita di una 53enne affetta da sclerosi multipla.  


Dr. Salvo Russo psichiatra, psicoterapeuta, psicologia dello sport
www.psicologiasportiva.it    email:psicologiasportiva@psicologiasportiva.it

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