Crescita come soluzione: la tecnica che serve l'uomo e l'ambiente

Di EMANUELE ZANGARINI ,

Foto: Stephan Ridgway (flickr, CC BY 2.0)
Foto: Stephan Ridgway (flickr, CC BY 2.0)

Può esistere una crescita ambientalmente sostenibile? Affrontiamo il tema dalla prospettiva di due autori che criticano le teorie della decrescita.

Questo articolo continua una serie incentrata sulla discussione del tema della decrescita da un punto di vista neutrale. Oggi è il turno delle critiche alla decrescita. La posizione di ogni autore è riassunta attraverso un testo edito in italiano. Puoi leggere anche l'articolo precedente che definisce la decrescita dal punto di vista dei suoi fautori.

Chicco Testa e la neotecnica ecologica

Passato da presidente di Legambiente a sostenitore del nucleare, Chicco Testa propone l’uso della tecnica al servizio dell’ambiente. Elogio della crescita felice: contro l’integralismo ecologico già dal titolo prova a smontare i luoghi comuni che accompagnano l’ambientalista collettivo, locuzione che inventa per identificare il militante ambientalista impregnato da «manifestazioni, credenze, comportamenti, emozioni, facile informazione, esagerazioni, stereotipi culturali e spesso fake news mai verificate», basate su «ideologie negative».

Fra le false convinzioni il legame fra deforestazione e industrializzazione, dove l’aumento di produttività dei terreni dovuto alla meccanizzazione dell’agricoltura e alla Rivoluzione Verde ha invece ridotto la deforestazione. I «due terzi delle risorse forestali mondiali» sono infatti stati consumati prima dell’era industriale, e il petrolio ha salvato le balene che prima venivano cacciate per l’olio di balena che veniva usato per accendere le lampade ad olio.

L’ambientalista collettivo fa le sue vittime, come Patrick Moore (ex Greenpeace), Patrick Lovelock (teoria di Gaia) e Michael Shellenberger (climate pragmatism) diventati sostenitori dell’energia nucleare contro il riscaldamento globale e quindi finiti nella polvere dell’ambientalismo mainstream.

C’è un ambientalismo ortodosso e un ambientalismo negletto, questo perché citando il fisico Freeman Dyson «[l]’ambientalismo ha sostituito il socialismo come principale religione laica» mentre invece «per ogni problema ambientale esistono soluzioni diverse, non un unico vangelo». L’ambientalista collettivo invece ignora efficacia e realizzabilità delle soluzioni che propone.

Testa attacca anche il «comitatismo», la nascita di comitati del no a tutto spesso «la ricerca di notorietà a tutti i costi, anticipatrice di piccole future carriere politiche» come confermano i curricula di numerosi eletti in parlamento. Anche i politici cercano di rimandare il più possibile le decisioni, tanto che a fianco dell’acronimo NIMBY (non nel mio cortile) è nato NIMTO (non nel mio mandato).

Testa diffida dall’ambientalismo che rimpiange i bei tempi andati, fondato sul «disgusto per la società di massa, per l’eccesso di popolazione, per l’industria e la tecnologia». Affida invece il futuro dell’ecologia alla neotecnica cara al pioniere dell’ambientalismo italiano Giorgio Nebbia, che avrebbe il compito di riconciliare l’uomo e l’ambiente grazie a tecnologie poco invasive, sviluppate tramite salti tecnologici che non dobbiamo frenare.

Luca Simonetti contro la decrescita

In Contro la decrescita Luca Simonetti  sostiene che «i rimedi che propone la decrescita, per quanto a prima vista accattivanti, sono poco fecondi e anzi rischiano di rivelarsi peggiori del male» perché basati su una «visione troppo drasticamente unilaterale del pensiero».

Riprendendo lo studioso olandese Jeoren C.J.M. van den Bergh, Simonetti elenca di 5 varianti di decrescita intrecciate fra loro: 1) la decrescita intesa come riduzione del PIL; 2) la decrescita come riduzione dei consumi; 3) la decrescita come riduzione del tempo dedicato al lavoro; 4) la decrescita come fuoriuscita «radicale» dall’economia di mercato; 5) la decrescita come riduzione «fisica» degli input utilizzati nella produzione.

Gli autori di queste varianti «si citano instancabilmente l’un l’altro» e talvolta si propongono come modelli di virtù: praticano la sobrietà ispirata «dal semplice buon senso» (Luca Mercalli) mentre condannano la non-sobrietà come «frutto di illibertà, eteronomia, condizionamento pubblicitario, conformismo)».

I decrescenti ignorano i rapporti di produzione e le difficoltà reali: «[t]utto è semplice, perché non si bada né ai mezzi né alle conseguenze». Viene condannato lo spreco di cibo ma in realtà il pane in eccesso a fine giornata viene buttato perché a nessuno conviene muovere del pane vecchio fra tutti i forni italiani. Il pane vecchio è un prodotto che così com’è non vogliono neanche i canili. E l’autoconsumo di verdura? Non è detto sia meno inquinante della coltivazione a migliaia di chilometri di distanza specie se la produzione locale avviene in serra con vasto uso di idrocarburi e derivati.

La decrescita riabilita a sinistra «vecchie e già screditate tesi del primo Novecento»  contro la scienza e la tecnica e le usa come «strumenti di liberazione dalle alienazioni» nella società contemporanea. Nella teoria, gli autori della decrescita interpretano dei modelli parziali come il World3 del celebre rapporto Meadows come se fossero previsioni invece di risultati di un modello molto parziale, basato su medie globali e macroaggregati disomogenei. Il risultato è che previsioni catastrofiste come la data di raggiungimento del picco del petrolio viene spostata al 1993 da Campbell, al 1993-2000 da Hubbert, al 2000 da Ivanhoe e infine al 2003 e al 2005 da Deffeyes.

Non c’è quindi nessuna età dell’oro a cui tornare, perché la modernità ha fornito soluzioni ambigue, che hanno ridotto la fame e al contempo ha fatto aumentare l’inquinamento tanto che vi è una correlazione positiva fra qualità della vita e inquinamento.

I vincoli comunitari del villaggio cari ai decrescenti sono stati rimossi, ma al contempo sono fioriti i diritti individuali che nel villaggio conformista fondato sullo stretto controllo sociale non avevano spazio.

Senza analisi della realtà dei rapporti sociali, manifestando ostilità verso la politica e spesso anche per la democrazia, la decrescita si riduce ad uno sfogo sterile, o peggio una falsa coscienza che spinge a fare il contrario del proprio interesse.

Libri citati

    • Testa, C. (2020) Elogio della crescita felice: contro l’integralismo ecologico. Marsilio.
    • Simonetti, L. (2014). Contro la decrescita. Longanesi.

  • Curo le rubriche a tema ambientale di bici.news e outdoorpassion.it. Seguo la parte tecnico-informatica di Outdoor Passion. Twitter: @emazangarini

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