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La conservazione dello stambecco

La storia del salvataggio e della reintroduzione dello stambecco rappresenta uno dei più grandi successi della conservazione della natura a livello mondiale. Ma lo stambecco attuale non è esattamente lo stesso che popolava le Alpi secoli fa: quello che è cambiato, o meglio, che è andato irrimediabilmente perduto, è parte del suo patrimonio genetico.
Sono ormai passati più di 150 anni dal lontano 1856, anno in cui Vittorio Emanuele II istituì la Riserva Reale di caccia del Gran Paradiso dando avvio, forse non consapevolmente, al salvataggio dello stambecco alpino dall’estinzione. Lo stambecco a quel tempo era infatti confinato in una piccolissima porzione di territorio sul massiccio della Grivola e le stime dicono che fossero rimasti solo 100 esemplari: gli unici sopravvissuti di una specie un tempo diffusa su tutte le Alpi ma decimata dalla caccia e dalla diffusione delle armi da fuoco. L’istituzione della Riserva di caccia e con essa di un corpo di guardie che impedivano la caccia ad altri che non fossero il re, evitò la completa estinzione della specie e il numero di animali tornò ad aumentare progressivamente.
A partire dall’inizio del 1900 numerosi eventi di reintroduzione riportarono lo stambecco prima in Svizzera e poi su tutto il resto delle Alpi dove ancora oggi lo possiamo ammirare.

La storia del salvataggio e della reintroduzione dello stambecco rappresenta uno dei più grandi successi della conservazione della natura a livello mondiale. Gli Anni ’80 e ’90 hanno visto un numero difficilmente calcolabile di eventi di traslocazione e fondazione di nuove popolazioni. Grazie a enormi sforzi di molti enti e aree protette, lo stambecco è nuovamente presente su tutto l’arco alpino e oggi possiamo contare circa 180 popolazioni diffuse dalle Alpi Marittime alla Slovenia per un totale di più di 50.000 esemplari.
Una specie ancora minacciata
Purtroppo però questa storia non è trascorsa senza conseguenze e lo stambecco attuale non è esattamente lo stesso che popolava le Alpi secoli fa. Nuove minacce mettono in pericolo la sua conservazione. Intendiamoci: lo stambecco è rimasto il maestoso re delle pareti rocciose dove si arrampica agilmente; l’aspetto e il comportamento sono ancora gli stessi che hanno affascinato generazioni di frequentatori delle montagne sin dall’antichità. Quello che è cambiato, o meglio, che è andato irrimediabilmente perduto, è parte del suo patrimonio genetico. Durante il collo di bottiglia (termine utilizzato per definire la drastica e rapida riduzione numerica di una specie) gran parte della sua variabilità genetica è stata persa perchè la maggior parte degli esemplari venivano cacciati prima che potessero riprodursi e trasmettere i propri geni alle generazioni successive. Lo stambecco attualmente presenta una variabilità genetica tra le più basse registrate negli animali selvatici, inferiore a quella del rinoceronte bianco, e ciò è motivo di preoccupazione per coloro che si occupano della sua conservazione. Infatti, la riduzione della variabilità genetica può aumentare la probabilità di insorgenza di malattie e diminuire il tasso di crescita delle popolazioni a causa di un fenomeno chiamato inbreeding, letteralmente: riproduzione tra consanguinei. Inoltre, una bassa variabilità genetica significa una riduzione delle possibilità per la specie di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente e del clima.

L’Europa si impegna per la salvaguardia dello stambecco

Per comprendere al meglio quali sono i rischi che lo stambecco corre, otto enti di gestione italiani e francesi sono impegnati in un progetto transfrontaliero avviato nel 2017. Gli stambecchi infatti non conoscono i confini amministrativi e una strategia di conservazione efficace deve necessariamente avere una dimensione sovranazionale. Il progetto è chiamato LEMED-IBEX ed è finanziato dal programma dell’Unione Europea Interreg ALCOTRA V-A Francia-Italia 2014-2020. I partner coinvolti sono: il Parco Nazionale Gran Paradiso, la Regione Valle d’Aosta, l’ente di Gestione delle aree protette delle Alpi Cozie, il Parco Naturale delle Alpi Marittime, i Parchi Nazionali del Mercantur e della Vanoise, Asters e il Parco Nazionale degli Ecrins come capofila.
L’obiettivo generale è quello di favorire la conservazione dello stambecco attraverso azioni di comunicazione e di ricerca per identificare le potenziali minacce alla sua conservazione. In particolare le azioni del progetto prevedono la cattura di alcuni animali che sono stati equipaggiati con collari GPS che consentono di monitorarne gli spostamenti. I movimenti di alcuni degli animali si possono seguire su siti internet dedicati, come: http://e7b3bfaa01.testing-url.ws/ o http://bouquetins.ecrins-parcnational.fr/ .

Inoltre, durante le catture vengono effettuati dei prelievi per testare la presenza di malattie e verificare lo stato di salute delle diverse popolazioni. Sugli stessi animali vengono anche condotte analisi genetiche volte a indagare le relazioni tra la variabilità genetica e l’insorgenza di patologie potenzialmente rischiose. Nel progetto sono coinvolti importanti enti di ricerca come l’Università di Zurigo, il cui laboratorio di genetica è tra i più avanzati in Europa ed è altamente specializzato in studi sullo stambecco e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale CERMAS di Aosta che si occupa delle analisi sanitarie.
I risultati del progetto, attesi per l’anno prossimo, forniranno indicazioni importanti per proporre nuove strategie per la protezione e la conservazione attiva di questa iconica specie.

Fonte Piemonte Parchi News

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.